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Riusciranno i nostri eroi a ritrovare la loro fiducia misteriosamente scomparsa in Africa?

E si, perchè se tu parti con tutte le buone intenzioni per migliorare le condizioni sanitarie di un paese, ma, a causa di inefficienze, ostruzionismo incomprensibile (o peloso!), e indolente collaborazione, ti ritrovi come il criceto nella ruota, a girare a vuoto, la fiducia vacilla.
SMOM, la nostra piccola-grande associazione,è nata nel 2004 da un gruppo di “ragazzi” di diversa estrazione politica, sociale, culturale, per lo più odontoiatri, ma non solo, stanchi di non poter concretizzare le tante brillanti idee che circolavano nell’ambito del volontariato. Tutti con un obiettivo: migliorare il mondo, ma anche noi stessi. Eravamo (e siamo tuttora), dei visionari con l’idea di lasciare un segno.
Trascinati dall’entusiasmo del Dott. Pino la Corte (nostro deus ex machina), ci siamo chiesti dove poter convogliare le nostre energie di piccoli rivoluzionari dell’odontoiatria. Individuati ambulatori dismessi o non più efficienti in aree del mondo in cui l’assistenza odontoiatrica era assente o quasi, per oltre 10 anni abbiamo raggiunto aree lontane dalla civiltà in paesi in via di sviluppo quali, Belize, Perù, Vietnam, Romania, Uganda, Kenia India. Ognuno di noi si giocava le ferie estive, ma anche quelle Natalizie e Pasquali, pagando di tasca propria, lontano da casa, con i buoni uffici della famiglia che riteneva il gesto altruistico, un motivo di orgoglio. Esperienze straordinarie dal punto di vista umano, ciascuna irripetibile per intensità, calore e vibrazioni dell’anima. ma, restava sempre un retrogusto di insoddisfazione, perchè nei vari luoghi, nessuna delle figure locali, era in grado di continuare il nostro lavoro nei restanti mesi che li separavano da un nostro ritorno. Rimanevano in essere in Benin il centro di formazione al lavoro, anche per persone disabili, retto da personale religioso italiano, e la nave ospedale che forniva assistenza odontoiatrica e medica sulle coste del Madagascar e dintorni. Entrambi questi progetti seguiti dal dott. Mario Rosati il quale per sovvenzionarli, di tanto in tanto si trasforma in attore (che s’ha da fà pè campà!).
Ma osservanti del detto: “se vuoi aiutare qualcuno, non dargli il pesce, ma insegnagli a pescare”, abbiamo cambiato politica. Cosa serviva a questi paesi in via di sviluppo per risolvere il problema della carenza (colpevole?) di dentisti?  Introdurre nelle loro Università, corsi per terapisti dentali da poter dislocare successivamente nei vari presidi sanitari del loro territorio. Sviluppata una analisi del problema ci rendemmo conto che in Burundi erano presenti 10 dentisti per 10 milioni di abitanti, mentre in Repubblica Centrafricana erano 6 i dentisti per 4 milioni e mezzo di abitanti. Preso contatto con le istituzioni locali circa 7 anni fà abbiamo già diplomato 35 terapisti dentali in Burundi, e attualmente continua il nostro intervento fornendo insegnanti qualificati, libri di testo, presenza  tutoriale e ultimamente abbiamo realizzato il primo congresso odontoiatrico in Africa.
Diverso è il discorso che riguarda la Repubblica Centrafricana, dove pare che L’Università del paese, dopo aver accettato la nostra offerta di aiuto, tenda a bloccare la nostra attività con motivazioni pretestuose e sinceramente incomprensibili. Ma come amava dire Giulio Andreotti: ” a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si prende”, per cui sopettiamo che  rallentare la nostra attività di insegnamento e formazione di dentisti, abbia motivazioni narcisistiche e caratteriali di qualche esponente universitario dal profilo modesto. Certo è che senza di noi, possono fare solo le nozze con  i fichi secchi. Ma non ci facciamo intimidire, siamo sempre là, anche in questo momento, e abbiamo programmato 4 missioni da ora a gennaio , per contribuire a formare questi ragazzi che temono gli insegnanti locali, ma attendono con interesse e trepidazione le nostre lezioni.
Ormai il cammino è segnato, siamo di esempio a tanti colleghi che si propongono per fare una esperienza con noi. Desideriamo solo mettere a disposizione di chi ne è sprovvisto, la nostra esperienza di decenni di lavoro in Italia e quando scopriremo che nei paesi in cui lavoriamo, anche l’ultimo uomo potrà accedere facilmente alle cure dentistiche, allora potremo trascorrere le ferie nel nostro bellissimo paese. 

Maurizio Pianella responsabile SMOM per Repubblica Centrafricana

La follia della normalità

Che cosa può significare uccidere i propri figli per sottrarli alla moglie? Che cosa stiamo diventando noi uomini? Cosa c’è alla base di questa violenza che stiamo esercitando sulle donne, se non un complesso di inferiorità mai risolto, che ci porta a rifiutare una parità di genere.

Abbiamo mantenuto il polso della situazione per millenni, relegando le donne ad un ruolo secondario, grazie alla nostra forza fisica, non certo all’intelletto. Le abbiamo  rese funzionali ai nostri desideri e alle nostre necessità, ben sapendo che se avessimo minimamente mollato la presa, loro avrebbero preso il sopravvento, perché decisamente più scaltre. Ma adesso abbiamo esagerato. Incapaci di accettarle al nostro livello, ci siamo arresi e le annulliamo con violenze psichiche, fisiche, fino ad ucciderle.

Non sono esperto di psicologia, né di sociologia, ma mi pare chiaro che questa società vada ricostruita partendo dai suoi valori fondamentali. Gli anni ’60, per citarne solo di recenti, hanno offerto all’umanità, una opportunità straordinaria, portando alla ribalta personaggi come J.F. Kennedy, Martin L. King e tanti sociologi, (discutibili per altri versi), che hanno innescato una nuova mentalità, contribuendo ad abbattere le barriere di colore, censo, religione, che fino ad allora avevano imbrigliato la società. Questi movimenti oceanici hanno avuto un effetto domino, su tanti altri comportamenti di prevaricazione dell’uomo sulla donna, aprendo gli occhi verso una mentalità “open space”; ma non tutti avevano la maturità per coglierne i limiti, interpretando le nuove acquisizioni sociali e comportamentali, a senso unico; pareva che tutto fosse dovuto e possibile, come il voto 27 politico all’Università e il lavoro per tutti, reclamato come un diritto inalienabile e non come un corretto rapporto tra datore di lavoro e dipendente. Si è costituita una generazione alla quale non  è stato trasmesso il senso di responsabilità e il valore del dovere che dovrebbero guidare una comunità sana, ma un atteggiamento di pretesa che la società civile gli scodellasse la minestra nel piatto. Continua a leggere